Il nostro percorso inizia da Jesi, una città ricca di storia, che ha cullato personalità illustri appartenenti ai campi più disparati, un filo rosso che unisce l’autorità dell’imperatore Federico II di Svevia all’eleganza e allo stile di Virna Lisi e Valeria Moriconi, protagoniste del teatro e del cinema italiano del secolo scorso.
Quando Federico II nel Medioevo le conferì il titolo di città regia, Jesi raggiunse il suo massimo splendore e continuò a crescere, tanto che nel 1472 venne stampata qui una delle primissime edizioni complete della Divina Commedia.
La città ha il merito di aver saputo integrare nel corso dei secoli i vari stili architettonici che si sono susseguiti, a tal punto che l’UNESCO l’ha segnalata come “esemplare” proprio per questo motivo nel 1969. Accanto alle mura medievali si trovano infatti edifici del Quattrocento, come il Palazzo della Signoria, ma anche opere del diciottesimo secolo come il Corso Matteotti e il Teatro Pergolesi, dedicato al compositore nato in città.
La cultura industriale che ha caratterizzato la città sin dall’Ottocento e che le è valso il soprannome di Milano delle Marche, si nutre ancora di attività ancestrali, come ad esempio la produzione del Verdicchio dei Castelli di Jesi, vino bianco ad oggi conosciuto ed esportato in tutto il mondo.

La perla artistica più preziosa che Jesi possiede è sicuramente la Galleria degli Stucchi, considerata ad oggi come uno dei migliori esempi di rococò presenti nell’Italia centrale.
La Galleria si trova all’interno di Palazzo Pianetti, che ospita la Pinacoteca civica della città. I 70 m di lunghezza terminano in una sala ottagonale, che accentua l’illusionismo prospettico. La Galleria incarna alla perfezione la mentalità del secolo in cui venne costruita, non solo perché la scelta artistica non cede alla teatralità del barocco seicentesco, ma anche perché il pensiero illuminista prende vita negli stucchi e nelle pitture. Le immagini esaltano infatti il viaggio dell’uomo verso la conoscenza, sia nella dimensione temporale, rappresentata dalle ore, dai giorni, dai mesi e dalle stagioni dipinti sulla volta, sia nella dimensione spaziale, grazie agli elementi della natura e ai continenti. Allegorie della Giustizia, Sapienza, Temperanza e Fortezza compaiono nella volta della sala ottagonale, mentre gli stucchi, veri protagonisti della galleria, rappresentano le arti liberali, ovvero pittura, scultura architettura e musica, autentiche guide del viaggio dell’uomo.
Gli artisti che lavorarono all’opera furono numerosi, i più rilevanti furono gli stuccatori Giuseppe Tamanti, Giuseppe Simbeni e Andrea Mercoli e il pittore aquilano Giuseppe Ciferri. I lavori si svolsero all’incirca tra il 1767 e il 1770 e portarono alla realizzazione di quella che oggi è la seconda galleria settecentesca più lunga d’Italia, dopo quella di Diana nella Reggia di Venaria Reale fuori Torino.
Occorre inoltre sottolineare come la Galleria sia la punta di diamante di un museo che contiene al suo interno altrettanti capolavori. Tra questi spiccano le Stanze di Enea, sei stanze che raccontano attraverso la pittura la storia dell’eroe troiano, le celebri opere del veneziano Lorenzo Lotto e la Galleria d’Arte contemporanea.

Accanto ai grandi palazzi storici e alla grande arte dei secoli precedenti, Jesi si è arricchita negli ultimissimi anni anche di una forma d’arte più moderna e innovativa, la street art.
Il servizio Polo Culturale del Comune di Jesi ha infatti lanciato il progetto Chromaesis, al fine di andare a riscoprire l’identità del quartiere San Giuseppe, per riqualificarlo e ripensarlo in maniera artistica, esaltando i suoi pilastri fondamentali, ovvero la multiculturalità e l’animo operaio. Per raggiungere questo obiettivo nel quartiere sono stati realizzati tre murales.
Il primo (foto 1) rappresenta Clio, musa della Poesia e del tempo. L’opera omaggia la città attraverso la riproduzione ingrandita di un dettaglio di un affresco nella Pinacoteca Civica, legando così il cuore culturale di Jesi a quello produttivo, che svolge questo compito ormai da secoli, come testimoniato dal pavimento romano che si trova poco distante. Realizzato da Federico Zenobi, Corrado Caimmi e Nicola Canarecci.
Il secondo murales (foto 2) si concentra invece sul tema della migrazione e mette al centro la naturalità di questo processo. Gli animali, infatti, si spostano continuamente nel corso dell’anno, poiché è l’unico modo che hanno per sopravvivere e quando lo fanno sono benevolmente accolti dalla natura che li ospita. Il murales trasmette l’esigenza di spingere l’uomo a fare lo stesso, attraverso la rappresentazione di animali e quella di texture decorative, che traggono ispirazione e rimandano proprio alle differenti culture che ormai da tempo convivono all’interno del quartiere di San Giuseppe. Realizzato da Nicola Alessandrini.
Il terzo murales (foto 3) celebra invece la vocazione operaia del quartiere. L’immagine dà voce ad una nuova comunità, che nasce dall’unione del passato e del presente e che è incarnata da quattro figure lavoratrici, unite da una corda rossa, dove compare la scritta “Omnia sunt communia”, tutte le cose sono comuni.
Al di fuori del progetto Chromaesis a Jesi si trovano altri tre murales legati a luoghi specifici della città. Uno di questi (foto 4) si trova sulla facciata del Man Cave Cafè e mette in scena l’identità del locale stesso, fondata proprio sul riunire persone di diverse generazioni legate dalla stessa passione per i motori (Realizzato da Federico Zenobi, Nicola Canarecci e Corrado Caimmi). Un altro (foto 5) è stato realizzato sulla facciata della piscina comunale e celebra lo sport del nuoto grazie alla rappresentazione di un uomo e una donna, entrambi dediti a quest’attività (Realizzato da Federico Zenobi). L’ultimo (foto 6) vuole invece essere un gesto di ringraziamento nei confronti del personale sanitario impegnato nella lotta al Covid-19 e per questo motivo si trova davanti alla facciata dell’ospedale Carlo Urbani. La donna ritratta è la carità celeste, che tiene in mano un cuore e una piuma, incarnazioni dell’amore e della scienza, cioè i due strumenti alla base della medicina. A sugellare questo concetto la frase accanto, “il principio fondamentale della medicina è l’amore” (realizzato da Federico Zenobi, Nicola Canarecci e Corrado Caimmi).